Mario Desiati il 22 gennaio ha presentato agli studenti del Liceo “Ricciotto Canudo” il suo ultimo romanzo: “Il libro dell’amore proibito”, edito Mondadori.
Lo ha introdotto la professoressa Irene Martino. Di seguito alcune sue riflessioni sull’opera.
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“Il romanzo non rientra nel genere del romanzo di formazione, poiché il protagonista e gli altri personaggi che vi compaiono, non vivono un percorso di crescita tale da farli pervenire all’età adulta. Anzi, al contrario, permane in loro la necessità di rimanere ancorati ad una sorta di adolescente maturità, che li fa essere nell’aspetto uomini, ma nell’animo eterni adolescenti, con uno sguardo aperto sul mondo paragonabile quasi al Fanciullino pascoliano.
Piuttosto, potrebbe definirsi come romanzo di iniziazione ai misteri della vita, dell’amore, del dolore e della sofferenza, della conoscenza di un mondo dove per citare l’autore “I miserabili e i puri di cuore sono destinati ad essere infelici” Un pensiero ereditato dal grande Kafka, ma costituisce la cifra più profonda ed autentica dell’intero romanzo.
Al centro della storia si staglia la figura di un adolescente appunto, che lungi dal rappresentare la nostra contemporaneità (non comunica come tutti i nostri adolescenti col cellulare, non usa i social network, ha un rapporto quasi fisico con il libri che divora e con i quali si addormenta), contiene in sé qualcosa di antico, un’aura ancestrale, una allegoria di astoricità e atemporalità, come astorico e atemporale è il mondo della campagna pugliese che fa da sfondo all’intero romanzo, ma che poi finisce col divenire parte integrante della trama. Una campagna, quella descritta da Desiati, fatta di terra rossa, di pietre vive che dialogano tra loro, di muretti a secco su cui scorre la vita, e su cui si insinua a fatica l’erba rampicante che per crescere ha bisogno di muri, proprio come l’amore. Una natura ricolma di odori, sensazioni taglienti, di tramonti, ma anche di raggi che accecano, dominata da tinte forti. Altra caratteristica dominante del suo romanzo. Rosso come il fuoco, come la passione che nutre, ma che divora e consuma, rosso come la fiamma che scalda e che può distruggere ogni cosa.
Altro fil rouge è costituito dall’ossimoro, dal contrasto, poiché anche gli stessi sentimenti sono caratterizzati sempre da una duplicità e ambiguità di fondo. E così l’amore di Veleno per Donatella viaggia parallelamente tra devozione e deviazione, tra fuga e ritorno, tra erotismo infetto e tenerezza infinita. Un amore in cui la donna si configura come Madonna, un amore che si nutre di absentia, di lontananza, di memoria.
Un amore narrato in netto contrasto con la necessità dell’hic et nunc dell’uomo contemporaneo, che vive di immediatezza, di consumazione rapida e fagocitante dei rapporti, di presenze ingombranti ma annichilenti.
Dunque Desiati intende comunicare che ogni suo personaggio non è immune dal trauma della violenza insito in ogni processo di civilizzazione, di iniziazione o di formazione, ma ampliando l’orizzonte della realtà con le trame invisibili della possibilità, comprende come nelle verità possibili, nel dolore, nella perenne alternanza di vita e morte, di eros e tanatos, esiste un fuoco, un’energia, un’utopia che non fugge la realtà, ma la reiventa. E ci permette di comprendere che anche nell’esperienza del trauma è possibile scorgere la luccicanza del bello e ipotizzare una rinascita, che nel romanzo si configura proprio come il riverbero prodotto da quel raggio di luce, presente nell’ultima pagina, che si riflette e flette, attraverso le pietre, per restituire al lettore un’immagine possibile di vita fondata sulla speranza”.
Irene Martino
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