Sono alla fine del percorso liceale del Classico, gli studenti del “Virgilio Marone” di Gioia del Colle, sezione A. Sono in grado di guardare al mondo classico con lo spirito critico necessario a individuare le affinità e le diversità con la contemporaneità. Hanno sufficiente pratica di mondo per scoprire che alcuni aspetti della società attuale hanno radici lontane. L’esperienza che si accingono a vivere è di quelle che-si spera-possa lasciare un segno concreto alla riflessione e al confronto costruttivo, tra passato e presente, che durante le lezioni e lo studio sono avvenuti. Si intende scrivere di argomenti, concetti, tematiche delle letterature greca e latina e proporli al largo pubblico, abbattendo i confini della cultura settoriale o specialistica, nella dimensione esoterica. Volgere lo sguardo curioso all’antichità, riportandone ciò che più li ha appassionati e stupiti, significa per i giovani del XXI secolo, e non solo, rendere vivo e vitale il passato, su cui si fonda la cultura occidentale, capirne le profonde ragioni e darne una propria interpretazione. Non è vero che poeti e scrittori dell’antichità classica non hanno più niente da dire, scomodando Calvino - sono classici, e, quindi, hanno sempre altro e in modo diverso da dire. Come spesso ripeto, essendone profondamente convinta, è compito di noi, cittadini dell’oggi e insegnanti di lingue classiche, attirare e motivare i giovani alla curiosità e allo studio verso un passato, che ha lasciato semi giganteschi di verità e bellezza. Archiviare ciò che è stato come ormai asfittico equivale a spegnere le fiammelle di luce orientate al futuro. [Grazia Procino]
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STORIA, O L’ARTE DI IMPARARE A VIVERE?
“A chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?”
E’ Giacomo Leopardi che lascia parlare un navigatore indomito alla ricerca di una resa definitiva dei conti, l’Islandese. Ma la risposta è solo un gran silenzio. La Natura è lucidamente indifferente alla requisitoria appassionata del suo interlocutore, forte e debole insieme. L’Uomo di tutti tempi prende atto d’improvviso della propria fragilità, dovrà accettare il dolore e la morte per imparare a vivere. Forse il nostro Giacomo si era dilettato con le “Storie” di Tucidide, il più efficace e rigoroso storico greco. La Natura del primo era la τύχη (sorte) del secondo, ‘‘l’imponderabile’’, capace di sovvertire, imprimere svolte impensabili ad ogni sogno. Nelle “Storie”, abbracciando gran parte della guerra che vide Atene e Sparta confrontarsi dal 431 al 404 a.C., conflitto altresì noto come Guerra del Peloponneso, Tucidide dipinge un affresco grandioso dell’uomo con la sua φύσις (natura) e le sue passioni. Il sogno degli Ateniesi era quello di sconfiggere in uno scontro campale gli eterni rivali e, molto probabilmente ne sarebbero anche usciti vincitori, se soltanto una scelta scellerata non avesse capovolto lo status quo. Il glorioso Pericle, che nel V secolo a.C. aveva designato Atene come faro morale per le πόλεις greche, inneggiando all’arte e alla bellezza, decise di radunare tutta la popolazione attica entro le mura di Atene.
Fu un provvedimento che decise la fine della supremazia e magnificenza ateniese.
Fu un provvedimento che permise la puntuale analisi tucididea di quel flagello che fu la peste.
Tucidide riesce a fotografare una catastrofe, prima nei suoi aspetti più concreti, i primi sintomi, l’inevitabile agonia, dunque, la morte e poi il riflesso emotivo di tale tragedia. Desolazione, disperazione e ἀθυμία, il venir meno del θυμός, dello slancio vitale, si fanno prepotentemente padroni dell’uomo. Impotenti e infinitamente fragili, gli Ateniesi dimenticano i νόμοι, le leggi che proteggevano la democrazia, una volta così osannata e forte, ora così prostrata, logorata, vinta da un male che nessuno era stato in grado di vedere.
Condannati a prendere coscienza della imprevedibilità della τύχη, s’infrange il mito della leggendaria Atene.
E gli uomini, che giacciono inerti in ricordi confusi, dimenticano di avere un futuro.
Vi è, dunque, un filo rosso che lega indissolubilmente l’approccio storiografico di Tucidide, la sua scientifica indagine degli avvenimenti politici, all’approccio medico ippocratico. Così come un medico necessita dell’esposizione dei sintomi per giungere ad una diagnosi, così l’Uomo politico di tutti i tempi necessita di una lucida esposizione dell’ἀληθεστάτη πρόφασις, la causa vera e profonda, per far fronte ad una problematica. Così come il medico può fronteggiare un disagio grazie a casi già precedentemente esaminati, così l’uomo di tutti i tempi può cambiare il futuro, memore degli eventi passati. Riferendosi all’immenso valore della storia, “Kτῆμα ἐς αἰεί”, possesso per sempre, dice Tucidide, “Historia magistra vitae”, la storia maestra di vita, dirà Cicerone.
Beatrice Milano – V A Liceo P.V. Marone
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