"Café Klez", per evocare musici erranti e ritmi lenti e tenui, che d’improvviso irrompono in parossistici e tarantolati jazz, a tratti contaminati anche da graffiante rock, in cui riverberano tutti i gradienti della musica popolare, patrimonio ed espressione dell’umanità.
Ad offrire questo piacevolissimo interludio concertistico nel foyer del Rossini è “Palazzo Romano Eventi” ed è Lucio a presentare i musicisti da vent’anni immersi in queste sonorità al punto da sentirle proprie ed arrangiarle con geniale originalità. Un percorso ventennale che ha intercettato diversi linguaggi musicali e interpretato un comune sentire, con approdi prestigiosi anche in Rai, oggi giunto all’acme della propria espressività.
A conferma di ciò la disinvoltura con cui il violino di Giuseppe Amatulli evoca pianto e gioia, trascinando con sé le “voci” del sassofono di Vittorino Curci, impareggiabile nell’esprimere rabbia, entusiasmo, dolore, ironia... Si dona con generosità, senza risparmiarsi in assolo graffianti e struggenti, a tratti folli di dolore, storditi e stordenti come la vita.
Non un popolo, ma l’intera umanità sin dal suo più ancestrale vagito danza sulle percussioni di Ciccio Turi, elemento “rock” che fa la differenza ed accompagna senza sbagliare nulla ogni brano, riprendendo le note e irrompendo ad effetto, assolutamente attoriale e di grande impatto emozionale la sua esibizione, anche perché questi brani li ha riscritti ascoltando le musiche originali e li sente suoi. Ottimo Camillo Pace al violoncello, jazzista ed appassionato di ritmi africani, il più giovane ed il più “bello”, forse anche il più timido, ma non quando suona e danza con il suo cinquantenario strumento con amore e passione. Penalizzato da una minore acustica Ciccio Plantone alla fisarmonica, che pur tanto ha contribuito a creare atmosfere di grande pathos.
Ad introdurre la musica klezmer Pino Scaglione, prezioso amico e gancio di Palazzo Romano, uno dei protagonisti delle “storie di amicizia” che Lucio Romano ricorda, oltre che amico del poeta ed artista - nonché premio Montale - Vittorino Curci, apprezzato disegnatore surrealista e musicista jazz.
Confessando la sua passione per l’Heavy Metal alquanto distante dalle sonorità Yiddish sia pur profondamente rivisitate e contaminate da jazz e rock dalla band di “gentili”, Pino racconta le origini di questa musica.
La parola yiddish “klezmer” significa letteralmente “musicante” e deriva dall’ebraico antico “kli”, strumento e “zemer”, canzone, mentre l’Yiddish è la lingua in cui viene declinata. Il klezmer è lo specchio dell’anima ebraica. La si ascoltava durante le feste, i matrimoni ed i funerali, itinerante al pari del popolo con cui si identifica. Rivalutata negli anni ’70, ha ritrovato nell’improvvisazione del jazz parte di sé, contaminandosi con grande originalità senza però perdere la sua identità. Tracce di questa musica - schegge aguzze della diaspora che ha disperso il popolo Ebreo - sono sparse per il mondo e vengono declinate anche nel rock, Scaglione ne coglie echi ed assonanze nella graffiante voce di Bruce Springsteen e ricorda l’ascolto dei classici di Gershwin e Goodmann durante l’infanzia, sonorità che hanno creato un forte imprinting e le basi per apprezzare l’arte che la musica sa esprimere.
E la musica klezmer nel corso del ventesimo secolo ha raggiunto significative vette di qualità ed è stata adottata da musicisti di alta scuola. In particolare nel ventennio tra le due guerre, il più ricco e vivace della storia polacca recente, a farsene interprete fu uno dei più famosi musicisti dell’epoca, il galiziano Leopold Kozłowski.
Vittorino Curci dopo aver inizialmente presentato il suo gruppo, spendendo parole molto lusinghiere su ognuno dei musicisti, di tanto in tanto interviene e ricorda quanto sia distante questa musica da quella da camera. E’ ben più rude e pronta a contaminarsi con altre culture, in primis quella orientale che porta con sé memorie del deserto, ed ancora ritmi gitani, russi… Perché suonarla? Perché settanta anni fa qualcuno voleva cancellarla dalla terra, ed è invece rinata e nella eterogeneità delle diverse esperienze musicali, è elemento di forte coesione ed unione.
A cornice del concerto l’installazione floreale di Germana Surico, pensata per il concerto in… concerto con la Flores e come sempre armoniosamente a tema.
Cassette di legno, rami secchi e vecchie valigie di cartone, sacchi di juta in cui era racchiusa la vita in fuga di un popolo perseguitato ma mai davvero vinto. A restituire speranza la musica e l’intenso profumo di viole a ciocche, bocche di leoni e fresie bianche poggiate in secchi di alluminio, struggente retaggio di un passato in cui schegge di cristallo crocifissero poesia ed arte insieme a milioni di vite.
Un concerto applauditissimo, da risentire in teatro! [Foto Mario Di Giuseppe]
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