“Dodici quadri per il “tirannicidio” più famoso della storia. Un riadattamento dal “Giulio Cesare” di Shakespeare portato in scena dall'Accademia degli Sfollati. Sabato 26 settembre alle 20.30 presso l'oratorio di San Domenico ad Acquaviva delle Fonti.
Fortemente voluto da Tommaso Procino, curatore e coregista dello spettacolo, “La peste che di necessità deve piombare” segna il ritorno ad Acquaviva del teatro "nostrano", volto a rifocalizzare l'interesse cittadino, prima che sul tanto atteso "contenitore teatro", sulla valenza culturale e sociale che l'arte teatrale promuove, offrendo così un fattivo contributo a sostegno dell'azione che l'Amministrazione comunale promuove nel settore della cultura.
Impresa non facile per un gruppo amatoriale - la neonata "Accademia degli Sfollati"-, che getta un sasso nello stagno, col vivo auspicio di polarizzare l'interesse soprattutto dei giovani (assai poco presenti), di appassionarli all'arte teatrale sino a poterne diventare essi stessi protagonisti e operatori.
L'opera che viene rappresentata è tratta dal "Giulio Cesare" di William Shakespeare, dramma di marca squisitamente politica, lucida analisi dei meccanismi del potere ed anche rappresentazione del dramma umano dei suoi protagonisti.
Scrive il coordinatore e regista Pino Dentico: "Incombeva dinanzi a noi il Giulio Cesare, il dramma che apre la più felice stagione shakesperiana. Lo abbiamo smembrato fermandoci alla seconda scena del terzo atto, poco dopo l'uccisione del "dittatore", alle orazioni funebri di Bruto e Antonio. Lo abbiamo "decostruito" e subito ricostruito, partendo dalla fine, dal discorso di Antonio alla plebe per ritornarvi nell'ultimo quadro, in una composizione ad anello, percorrendo di tappa in tappa, in dodici quadri, le dinamiche che portano inesorabili alle Idi di Marzo, all'uccisione del tiranno che si è fatto dio, il cui corpo esanime Antonio presenta alla folla come preziosa reliquia sin nell'ultimo dei capelli. Dall'operazione alcuni elementi emergono ricorrenti: l'acqua, il fuoco, il sangue, amplificati ossessivamente dai video che precedono o accompagnano i dialoghi. E' questa la malta che cementa i mattoncini e insieme denuda le strutture elementari del potere e dell'ambizione parossistica a conquistarlo e mantenerlo. La lettura attenta del Giulio Cesare ci suggerisce così inquietanti riflessioni e suggestioni che oggi come mai ci inducono a ritenere Shakespeare nostro contemporaneo per citare il fortunato saggio di Jan Kott: la banalità e la monotonia del potere e del potere assoluto nelle forme in cui si ripete nella storia, come una ruota incagliata al proprio asse, e, insieme, l'estrema fungibilità di chi detiene il dominio, la cui fame attraversa l'esperienza di ognuno e abita il quotidiano. Ma un altro elemento Shakespeare lascia affiorare nel dramma: la follia, veleno letale che tutti e ogni cosa pervade come peste immonda, la follia del sangue che ritorna e della storia che si ripete in distruzioni, sostituzioni e sovrapposizioni. La follia della folla gregaria, anche, mutevole come il vento alla profferta di un pugno di dracme. La follia: tutti noi. Tutti imbarcati sulla "Stultifera Navis", la nave dei folli, in perenne odissea. La messinscena della piece, aperta e chiusa dai versi di Costantino Kavafis, si presenta dimessa, spoglia di orpelli, e al contempo sontuosa nella scelta delle musiche ora irriverenti, ora "liturgiche", nel taglio onirico e visionario dei video che la scandiscono, la dilatano, la aprono a nuovi sguardi, pur attingendo a piene mani a riferimenti visivo-pittorici celebri o meno noti, Bosh e Caravaggio in testa”.
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